Riapertura delle scuole in presenza, i Cobas: “Bene pubblico primario che va garantito”

Il sindacato di base contro le polemiche per la ripresa delle lezioni: "La battaglia per la sicurezza si combatte sul posto di lavoro"

Riapertura delle scuole in presenza dal 7 gennaio, la posizione dei Cobas.

“La retromarcia del governo sulla riapertura delle scuole il 7 gennaio – dicono i comitati di base della scuola – ha portato dal 75 al 50 per cento la percentuale di attività che si svolgeranno in presenza, senza possibilità estensive e, come se ciò non bastasse sono nate in questi giorni raccolte di firme per bloccare del tutto la ripresa delle lezioni in nome della salute e della sicurezza, sostenute anche da soggetti sindacali. La posizione dei Cobas della scuola su questo punto, maturata in lunghi mesi di dibattito serrato, è molto diversa, ed è stata espressa nelle assemblee e nei convegni di dicembre”.

Le scuole superiori – dicono i Cobas – non sono un luogo più insicuro di tanti altri posti di lavoro aperti, a partire dalle stesse scuole medie, elementari e materne e risulta davvero difficilmente comprensibile perché sul piano della sicurezza chi lavora nella scuola media lo faccia in presenza e chi lavora nella scuola superiore invece no. Oppure chiediamo la chiusura di tutto, dalla materna all’università? Il piano strettamente sindacale, peraltro a tutela di una sola parte della categoria (il personale in servizio nella scuola secondaria di secondo grado), a noi sembra insufficiente per trovare un orientamento nel presente della scuola. La scuola è un bene pubblico primario e non un luogo privato di profitto. Non è la stessa cosa lavorare a scuola o lavorare in un’azienda privata o in un ruolo meramente impiegatizio. Il problema della salute nella scuola deve riuscire a tenere insieme la dimensione lavorativa con quella sociale. Il danno alla salute psicofisica che sta producendo la chiusura delle scuole colpisce tutti, come avverrebbe per la chiusura di poliambulatori e ospedali, ma colpisce in primo luogo le fasce sociali più deboli e le lavoratrici e i lavoratori di altri settori che continuano a lavorare in presenza spesso senza avere garanzie di sicurezza maggiori di docenti e Ata”. .

Docenti e Ata che chiedono le scuole chiuse per motivi di sicurezza – dicono ancora i Cobas – fruiscono quotidianamente dei servizi pubblici ma anche privati in cui altri lavoratori e altre lavoratrici garantiscono loro la possibilità di fare visite, esami del sangue, acquistare medicine o anche semplicemente di fare la spesa, mettendo in gioco i loro corpi e le loro paure personali. Perché proprio noi che lavoriamo nella scuola (e per giunta solo quelli delle scuole superiori) dovremmo essere meno motivati ad esserci e a lottare contro il deserto sociale che ci sta annichilendo tutti e tutte?”.

“Non avere la percezione di ciò – prosegue la nota – significa accettare l’idea della scuola come un servizio pubblico superfluo, altro che essenziale. O qualcuno davvero crede ancora che la Dad sia scuola, quando perfino i suoi promotori indefessi della prima ora hanno abbandonato il campo? La scuola deve rimanere aperta perché non è più accettabile – ma in realtà non lo è mai stato – che venga ancora immolata sull’altare della vita economica e della salvaguardia delle attività produttive: è un punto per noi dirimente, anche a costo di perdere una parte di consenso sindacale nella categoria. Abbiamo visto in questi mesi le scuole chiuse e le vie dello shopping gremite, le stesse vie in cui ordinanze securitarie imponevano però il divieto di manifestazione. Dovremmo pensare che il piano abbia il fine di preservare salute e sicurezza?”.

La lotta per la sicurezza – conclude – pensiamo si debba combattere sui luoghi di lavoro con le scuole aperte, a partire dalla richiesta di un sistema di tracciamento efficace e di servizi sanitari nelle scuole, che gestiscano in modo diretto i tamponi rapidi sul posto. Gli interventi del governo e ancor più delle regioni non sono adeguati e per questo dobbiamo continuare a batterci, ma le nostre rivendicazioni non possono giustificare la chiusura delle scuole, a meno che l’emergenza non abbia portato a chiudere anche le attività produttive. Le condizioni di totale sicurezza non esistono in nessun luogo di lavoro e per la scuola oggi questa richiesta in termini generali, e non legata a situazioni specifiche in cui si può determinare la chiusura di una classe, di un plesso o di una scuola, può solo significare il perdurare della situazione intollerabile di questi mesi e la chiusura ad oltranza di un servizio ritenuto superfluo”.

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