Giovane chef garfagnino alla corte del re della cucina stellata

Lorenzo Boschi racconta i tre mesi trascorsi in Danimarca nel ristorante di Redzepi

Quattro volte eletto miglior ristorante del mondo dalla 50 Best Restaurant. Terza stella Michelin conquistata da poco, il 13 settembre scorso, guidato dal vincitore del Mentor Chef Award 2021 René Redzepi. Il simbolo della cucina nordica nel mondo ha un nome: Noma. E c’è, o meglio c’è stato, un pezzettino di Garfagnana a 1600 chilometri da noi, laddove nasce e cresce quel laboratorio del gusto rivoluzionario redzepiano. Quel pezzettino si chiama Lorenzo Boschi, ha ventisette anni, ed è un giovane chef di Castelnuovo.

Grazie anche all’aiuto di Andrea Pieroni, amico e rettore dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, Lorenzo è riuscito a entrare nelle cucine del Noma per svolgere uno stage di tre mesi, nel regno dello chef numero uno al mondo: “Sembra retorica ma è così: una persona molto umile e tranquilla, umana. A volte si intratteneva con me anche mezz’ora, e nelle chiacchierate che facevamo, pare strano, ma mi faceva sempre un sacco di domande”.

Ottanta coperti e quasi altrettanti i membri dello staff, provenienti da tutto il mondo, sono pochissimi i danesi. Una squadra unita, dice Lorenzo: “Il clima è abbastanza disteso per essere la cucina di un ristorante pluristellato, dove i dettagli fanno veramente la differenza, insomma, ‘se ti tratto bene lavorerai meglio’ può essere lo slogan”. Più che un ristorante, un laboratorio, con una ricerca minuziosa e spasmodica della materia prima (Lorenzo racconta dell’origano messicano, una pianta per la quale sono serviti tre mesi per introdurla in Danimarca dopo un anno di ricerca in America Latina): parte di esse derivanti proprio dalle due serre che fanno parte del corpo del ristorante. Parla di pene di renna, di cervello di cervo, persino di pietanze servite dentro teste di germani: “La grande tradizione enogastronomica italiana è un patrimonio culturale dal valore inestimabile, qui, non essendoci tutto quello zoccolo duro che abbiamo da noi, è più facile sperimentare e innovare. Per dire, il piatto che più mi ha lasciato esterrefatto, assaggiando il menu degustazione di Redzepi, è a base di larve di ape. È stata un’esperienza incredibile, poter lavorare insieme e imparare da grandi professionisti che vengono da ogni parte del mondo è impagabile”.

La passione per la cucina nasce da lontano, da quando, ancora bambino, amava mangiare, inconsapevole che sarebbe diventato colui al quale la gente si affida per farlo bene: “Da piccolo mangiavo molto volentieri e mio papà è sempre stato un ottimo cuoco, è stato anche lui a trasmettermi questa passione: quando andavamo fuori eravamo sempre alla ricerca di ristoranti diversi dall’ordinario in cui potevamo trovare cose nuove”. Dopo il diploma da ragioniere, l’Accademia Niko Romito, scuola di alta formazione professionale a Castel di Sangro, dove ha potuto metter su basi molto solide: “Un’altra esperienza importantissima, anche a livello culturale e di filosofia del cibo, con un altro grande uomo: Niko Romito non è solo un incredibile chef, ma anche un uomo d’impresa e d’intelletto, poter fare esperienza in uno dei suoi ristoranti dopo il corso è stato fondamentale”.

Lorenzo è a Copenaghen da ormai sei mesi e mi parla di un paese molto organizzato, ma con una popolazione non esattamente mediterranea ed espansiva, e formare un piccolo gruppo con gli italiani del posto è stato naturale. La nostalgia, però, è soprattutto per l’aspetto storico del Bel Paese, e mi lancia là un’iperbole niente male:”Si respira più storia e cultura in un piccolo borgo come può essere Castiglione che in tutta Copenaghen”. Ora lavora nella cucina del Ché Fè – scoperto grazie alla fidanzata Ilaria (anch’essa garfagnina) che serve in sala in attesa di iniziare gli studi universitari – una biotrattoria italiana dove vengono proposti ricette rivisitate con ingredienti biologici importati dall’Italia. Non sa quando, ma un giorno tornerà tra noi simpatici e calorosi disorganizzati abitanti dello Stivale. Io, prima di chiudere la telefonata, gli sottopongo una stupida e banale richiesta: il desiderio di avere, prima o poi, uno stellato in Garfagnana. Lui mi risponde così:” Le stelle lasciano il tempo che trovano, l’importante è lavorare seriamente. Mi piacerebbe molto riuscire ad avere un posto che mi permetta di seguire la filiera della materia prima da quando nasce a quando arriva in tavola: è solo rispettando e amando il territorio che ci circonda, la famosa sostenibilità, che riusciamo a mangiare bene”. Ecco, come non detto: sì, chef.

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