Odissea dopo il contatto covid: scade la quarantena ma non ha ancora l’esito del tampone

Il dottor Bertoncini racconta la sua vicenda: "Il test l'ho fatto dopo aver sentito il mio medico, dall'Asl non ho saputo più nulla"

Una odissea dopo un contatto con una persona risultata positiva al coronavirus. E’ quella toccata al dottor Emilio Bertoncini che dal 29 di ottobre scorso ancora non sa se ha contratto il virus e soprattutto, scaduta la quarantena, non sa come comportarsi.

Un episodio che in questi giorni tocca a molte persone che pur essendosi sottoposte al tampone non hanno avuto ancora l’esito. Continuando a vivere in un limbo senza una indicazione precisa.

“All’inizio della scorsa settimana – racconta Bertoncini – ho scoperto di essere stato a contatto con una persona risultata positiva al Covid. Il contatto risaliva ad alcuni giorni prima e, appena appresa la notizia, mi sono posto in autoisolamento. Il giorno successivo, il 29 di ottobre, ho ricevuto un primo provvedimento di quarantena contenente un errore di calcolo cui, dopo mia segnalazione, ne è seguito un successivo corretto. Ho proseguito il mio isolamento al domicilio nella scrupolosa osservanza delle indicazioni” che il dottore definisce blande, insieme  “all’incredibile mancanza dell’unica indicazione veramente fondamentale, cioè l’isolamento dai miei conviventi (nella fattispecie i miei genitori). Ad oggi, e il provvedimento è scaduto, non ho avuto alcun contatto dalla Asl, ma sabato scorso 31 ottobre ho iniziato a manifestare i sintomi, in particolare febbre e dolori. Seguendo le indicazioni impartite, ho contattato il medico curante che non ha potuto far altro che prescrivermi il tampone e indirizzarmi sul sito di prenotazione regionale. Lì è risultato inizialmente impossibile prenotare con immediatezza in alcuna delle province limitrofe a Lucca e solo superata la mezzanotte sono riuscito a prenotare un tampone al presidio di Campo di Marte. Non mi è nemmeno chiaro se questa fosse la via corretta, ma è risultata l’unica possibile, così ho guidato in solitaria fino al presidio e lunedì 2 alle 15,30 ho fatto il tampone. L’operatrice mi ha subito segnalato che i tempi della risposta non sarebbero rimasti nelle 48 ore standard, ma a questo punto sono trascorsi oltre 4 giorni e non c’è alcun esito. Nel frattempo la febbre e i dolori hanno fatto in tempo ad andare e venire più volte e oggi mi sento in via di ripresa. Ovviamente, non mi è dato di sapere se io sia stato colpito da una sindrome influenzale o dal Covid-19 e proseguo il mio isolamento ignaro della realtà e, soprattutto, impossibilitato a programmare qualsiasi attività della vita personale e lavorativa, perché l’eventuale tampone positivo determinerebbe scenari di ulteriore quarantena”.

“In questi giorni – aggiunge – ho molto riflettuto su come questo modo di far funzionare le cose potrebbe agire su persone psicologicamente più in difficoltà di me, magari anziane o un po’ marginali. Prima di tutto c’è una sensazione di abbandono e di incuria nei propri confronti. Di fronte ‘alla pandemia’ l’unica cosa che arriva al volo è una limitazione della tua libertà, poi il vuoto. Anzi, poi una burocrazia che, se non sai usare la posta elettronica, non hai un indirizzo di posta elettronica certificata, non sai gestire i tuoi dati su una piattaforma informatica, ti rende un fantasma, magari bloccato da un provvedimento di quarantena sbagliato, e incapace di prenotare un tampone. Si dirà che attorno ci sono le famiglie, che il medico ti darebbe una mano se tu non fossi in grado e così via, ma in questo sistema c’è una disattenzione alla persona incredibile”.

“E tu te ne stai lì con termometro, pulsi-ossimetro (una spesa non accessibile a chiunque) e la tua personalissima scala di misurazione dei dolori. E poi ti chiedi – aggiunge – cosa voglia dire difficoltà respiratorie, quelle per cui nei casi peggiori si va direttamente al creatore. E ti viene paura. Non è nemmeno paura, è il terrore frutto della narrazione del virus che ci tempesta da mesi. E i sensi di colpa: e se tu avessi trasmesso la pandemia a chi ti vuole bene o a qualche sconosciuto incontrato per caso al bar? Ancora, la tua stabilità psicologica ti aiuta, ma cosa potrebbe accadere con quel terrore a chi è in difficoltà da quel punto di vista? Davvero sarebbe impossibile in preda al terrore alzarsi, uscire di casa e andare al bar a bere qualcosa? Forse no e tutto il sistema, basato sulla fiducia che non può essere riposta in persone malate e terrorizzate, andrebbe a monte. E’ un ragionamento che si spinge al limite? Forse, ma non per questo deve costituire un alibi all’abbandono dei potenziali malati a se stessi. Se il sistema dovesse combattere un virus eccezionalmente pericoloso, sarebbe del tutto inadeguato”.

“Chiudo condividendo il fatto che io in questo momento – sottolinea – non so nemmeno in quale situazione giuridica mi trovi: la quarantena è scaduta, ma ho avuto i sintomi e ho fatto un tampone. Sono in isolamento volontario o in quarantena? Inutile dire che il mio essere lavoratore autonomo mi dà il grande “vantaggio” di non aver bisogno di pezze d’appoggio per giustificare la mia assenza lavorativa, ma se fossi un dipendente cosa servirebbe, una certificazione medica un po’ fantasiosa? Ma c’è qualcosa che mi inquieta di più: la mia comunità è forse solo e semplicemente protetta dal mio buonsenso, ma non dalle istituzioni sanitarie e dai loro provvedimenti? Io sto a casa, ma non sono tranquillo a pensare che tutto possa dipendere solo dal singolo e dalla sua capacità di resistere psicologicamente di fronte ad una cosa che potrebbe diventare più grande di lui o lei”.

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