Andreuccetti: Dal Pd proposte e candidati credibili

Un mese e mezzo dal voto, gli schieramenti si organizzano e la campagna elettorale è sostanzialmente già cominciata. Ad aprire le danze delle riflessioni politiche in vista del voto del 4 marzo è l’ex segretario territoriale del Pd, Patrizio Andreuccetti. Lo fa con un lungo intervento in cui difende le scelte del Partito Democratico al governo e invita a riflettere sulla scelte verso il prossimo appuntamento elettorale. Un analisi che termina con un appello alla riflessione sul panorama politico esistente, per andare oltre al voto di protesta.

“Se è vero che le rivoluzioni passano, storicamente, attraverso bagni di sangue – esordisce Andreuccetti – è altrettanto vero che, storicamente, i riformismi si portano dietro reazioni critiche e malcontenti. Quando qualcuno prova a cambiare le cose o, meglio ancora, ci riesce davvero, paga sempre il prezzo del contrasto con chi quel cambiamento non l’avrebbe voluto o chi ne avrebbe voluto un altro. Quanto a riformismo l’ultima legislatura è stata portatrice di importanti cambiamenti che, inevitabilmente, hanno prodotto resistenze. Gli ultimi governi (Letta, Renzi, Gentiloni), pur con tutte le difficoltà del caso, anche dovute ad una coalizione disomogenea, sono indubbiamente contraddistinti dal marchio riformista. Hanno accompagnato e incentivato la ripresa economica attraverso il Jobs Act, con la creazione di un milione di posti di lavoro in più. Hanno stabilizzato oltre 150mila precari della scuola. Sempre sulla scuola, ma per l’edilizia, hanno stanziato milioni di euro per mettere in sicurezza tantissime scuole in tutta Italia. Hanno, con gli ottanta euro, aumentato lo stipendio mensile a milioni di lavoratori. Dopo quasi un decennio di attesa hanno rinnovato il contratto dei lavoratori del pubblico impiego. Hanno compiuto un’importante lotta all’evasione fiscale. Sul piano dei diritti hanno approvato le unioni civili e la legge sul dopo di noi. Sul versante della cultura sono emblematici i dati iper positivi delle visite nei musei e gli ingenti finanziamenti stanziati per il recupero e la valorizzazione del patrimonio storico artistico. E potrei continuare”.
“Ma su ognuna di queste azioni – commenta – giungono critiche da più parti e finanche ognuno di noi può, se vuole, trovarci difetti. Chi critica il Jobs Act sostiene che con l’abolizione dell’articolo 18 il lavoro è tutto precario, che anche l’oltre mezzo milione di nuovi posti a tempo indeterminato sono in realtà precari e che comunque i nuovi posti sono frutto dell’incentivo fiscale, terminato il quale finiranno anche le assunzioni. Sulla scuola la critica più grande è quella di averla trasformata in azienda con l’istituzione del super preside ed i provvedimenti annessi. Chi critica gli ottanta euro li ritiene una elemosina o un provvedimento iniquo. Sull’aumento del contratto degli statali si evidenzia come il costo in più degli stipendi sia a carico dei comuni e non dello stato. Le leggi sui diritti sono sbagliate per alcuni e troppo poco per altri (la chiesa era prevalentemente contraria alle unioni civili mentre la sinistra di liberi e uguali non le ritiene abbastanza perché voleva anche lo ius soli). Gli esempi potrebbero essere molti altri e ad ogni critica si potrebbe rilanciare. Allora era meglio non avere il milione di posti di lavoro in più, non stabilizzare i precari della scuola, non aumentare gli stipendi con gli ottanta euro, rinunciare ai passi in avanti nei diritti? Di fatto, giunti alle soglie della campagna elettorale, l’Italia si è divisa tra chi stava con il governo e chi era contro. Tutti coloro che, politicamente, incarnavano qualcosa di diverso da Renzi, Gentiloni e dai loro alleati, erano coalizzati nel contro, una forza di contrasto già palesata nel 60 per cento del no al referendum costituzionale del dicembre 2016”.
“Ora che siamo in campagna elettorale e che ognuno degli schieramenti facenti parte di quel 60 per cento deve proporre qualcosa, che succede? – dice il sindaco di Borgo a Mozzano –  Intanto avviene che non vi è più una coalizione contro ma più schieramenti che aspirano ad attrarre elettorato per sé, poi succede che ognuno debba misurarsi sui programmi e nelle diverse proposte si scopre che molte delle cose criticate fino a ieri non sono poi così male, che per certe proposte non vi è copertura economica e che altre hanno gli stessi vizi delle proposte che venivano criticate. Facciamo degli esempi. Oggi tutti dicono che gli ottanta euro vanno conservati. Nessuno parla più di uscire dall’euro (persino i cinque stelle si sono ricreduti). I mille euro di pensione minima di cui parla Berlusconi non si sa con quali soldi verrebbero finanziati, idem per il reddito di cittadinanza grillino (ammesso che sia giusto e non un incentivo all’inerzia), lo stesso dicasi per l’abolizione della Fornero di cui parla la Lega (Fornero, tra l’altro, votata dalla stessa Forza Italia principale alleato della Lega). Il medesimo vizio di incoerenza ce l’ha la proposta di abolire le tasse universitarie di LeU. Giunge da chi fino a ieri apostrofava come iniqua l’abolizione dell’imu sulla prima casa, in quanto avrebbe preferito una tassazione progressiva a vantaggio dei redditi più bassi. Il principio, allora, dovrebbe a maggior ragione valere per le tasse universitarie, su cui continuare a far pagare chi se lo può permettere e, semmai, abolirle sotto una certa soglia di reddito. Gli esempi, anche qua, potrebbero continuare. Come si vede, quando a scendere in campo non è solo il contro ma delle proposte, è molto facile compiere lo stesso esercizio di chi, fino al giorno prima, conduceva un’esclusiva azione di critica, con la differenza che qui non posso riportare il contro canto perché ancora non c’è”.
“Di fronte a chi fa le riforme – prosegue l’analisi politica dell’esponente dem – alla critica per la critica si abbina spesso un atteggiamento che a me piace definire di “edulcorante nostalgia” per i tempi andati, che più o meno porta tanti a dire che le cose dovrebbero tornare come un tempo, quando il lavoro era migliore, quando la scuola era migliore, quando le coscienze erano più sincere, e così via. Se però ci domandiamo quale sia stata questa eldorado d’Italia ci si accorge che, forse, non è mai esistita. Proviamo a fare un breve viaggio a ritroso. Gli anni d’oro sono forse quelli del governo Berlusconi 2008- 2011, che pur avendo la più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana, non solo non è riuscito a riformare il paese, ma ha rischiato di condurlo al disastro? Tra l’altro con un governo con la stessa alleanza oggi riproposta, con Bossi e Fini al posto di Salvini e Meloni, sul cui cambio non è affatto scontato si vada in meglio. I primi duemila? Gli anni Novanta? Gli anni che vanno dal 1978 al 1994 Indro Montanelli li ha definiti “anni di fango”. I Settanta? Gli anni di piombo? Forse sì, l’era d’oro sono gli anni del boom economico post bellico, gli anni cinquanta e sessanta , quelli che la gran parte degli attuali attori politici ha solo sentito raccontare. Ma a guardarli bene, erano anni di benessere solo per merito dell’Italia, oppure erano floridi perché Usa in primis e Urss di rimbalzo, avevano interesse a finanziarci? Sul punto ci si potrebbe sbizzarrire. Forse, quindi, anziché essere animati dalla nostalgia (che è cosa ben diversa dal fare memoria), dovremmo essere animati dal desiderio di futuro”.
“La critica verso chi fa – spiega Andreuccetti – abbinata ad una esaltazione del passato è una caratteristica molto diffusa nel nostro paese, un approccio che, a mio modo di vedere, dovrebbero essere rovesciato, soprattutto quando ci si appresta a scegliere la forza politica che si ritiene essere la migliore (o la meno peggio) per governare l’Italia. Ogni proposta può essere criticata, ognuno dal proprio osservatorio (chi più ideologico, chi meno) troverà sempre da ridire su ciò che fanno gli altri. Sarebbe quindi utile e di buonsenso scegliere chi votare non contro qualcosa o qualcuno bensì a favore di uno schieramento e delle sue proposte, anche perché le cose poi le fa chi governa, non chi è contro. Personalmente sono anni che ritengo “l’impegno contro” un errore, non senza aver riconosciuto errori di gioventù. Qualche anno fa anch’io facevo parte di coloro che erano animati dall’anti berlusconismo, ma poi ho capito che era un errore, non si doveva pensare contro, ma agire prima di tutto per affermare la propria idea di società e renderla chiara agli occhi dei cittadini. Questo sto facendo da sindaco e lo stesso faccio nella scelta alle elezioni politiche”.
“Il prossimo quattro marzo – è l’appello finale – sosterrò il Pd e la sua coalizione non perché sono contro qualcuno, ma perché misurando le cose fatte e le proposte in campo, ritengo quelle della coalizione di centrosinistra le più credibili, serie e realizzabili. Il mio invito è chiaro, ma, prima ancora che un appello al voto, il mio vuole essere un invito a riflettere sui metodi con cui ci approcciamo alla scelta. Se poi le motivazioni nazionali e ideali non bastano per indurre una decisione, invito le persone a guardare i candidati dei collegi uninominali tra cui finalmente gli elettori potranno scegliere direttamente. Il Centrosinistra propone persone legate al territorio, sempre presenti, vicine alle esigenze delle amministrazioni, come Andrea Marcucci e Stefano Baccelli, persone che hanno creduto fortemente nel sostengo alla cultura, al miglioramento della viabilità, ad un generale e concreto progredire della nostra Provincia. Degli altri schieramenti siamo ancora in attesa”.

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